La nuova Proposta di legge delega A.C. 1494 Benamati sul tema dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, si colloca nel più ampio processo di riforma fallimentare a opera della Commissione Rordorf, che è sfociata, da ultima, nella stesura di un nuovo Codice della crisi d’Impresa e dell’Insolvenza la cui totale entrata in vigore è stata differita al 1 settembre 2021, salvo ulteriori proroghe.
L’attuale regolamentazione della procedura di amministrazione straordinaria si articola in una disciplina base contenuta nella legge Prodi bis (decreto legislativo n. 270/1999) e una speciale, contenuta nella legge Marzano (decreto legge n. 347/2003).
Per l’accesso alla procedura, le due leggi prevedono discipline diversificate tra loro che ne circoscrivono l’accesso a determinati requisiti di carattere dimensionali ed economico-finanziario.
La differenza tra le due, è riscontrabile nella cosiddetta fase di osservazione, presente nella disciplina della Prodi-bis, in cui il tribunale accerta con sentenza il ricorrere del requisito della concreta prospettiva di recupero dell’equilibrio economico. Per le imprese rientranti nell’ambito di applicazione della legge Marzano, invece, l’ammissione alla procedura straordinaria è immediata, e solo eventualmente su ricorso del creditore, interviene il parere del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE).
Il delineato quadro normativo è stato quindi oggetto di una serie di interventi legislativi disorganici che si sono susseguiti negli anni, il cui risultato è sfociato in una procedura che si è rilevata complessa, inadeguata e inefficace per la tutela di tutti gli interessi coinvolti ed in particolare:
- la salvaguardia del valore di avviamento;
- la salvaguardia dei livelli occupazionali;
- la tutela del ceto creditorio.
Questi tre menzionati valori sono stati posti alla base dell’iniziativa legislativa, avuto riguardo della nuova concezione del diritto fallimentare che, a partire dagli anni Settanta, ha vissuto una rivoluzione “copernicana”, spostando il contesto applicativo da procedure di carattere meramente liquidatorio, in favore di istituti rivolti alla tutela della continuità aziendale.
Tale cambio di prospettiva è il risultato anche del diverso interesse con cui il ceto creditorio ha iniziato a porsi con riguardo al maggior grado di soddisfacimento, garantito non più dalla unica soluzione della liquidazione degli asset d’impresa, ma piuttosto nell’utilizzare tale opzione come extrema ratio, laddove non ricorrano concrete prospettive di risanamento aziendale.
Pertanto, l’obbiettivo primario della riforma è quello di contemperare l’interesse dei creditori con quello della continuità dell’impresa.
A tal fine, si è reso necessario configurare la procedura come rimedio eccezionale, utilizzabile solo qualora vi sia l’accertamento sull’effettiva recuperabilità della grande impresa in crisi.
Pertanto, oltre alle concrete prospettive di continuità aziendale, la PDL, per l’accesso alla procedura, richiede la presenza di un requisito esclusivamente quantitativo, rappresentato da un rilevante profilo dimensionale, da quantificarsi sulla media del volume degli affari degli ultimi tre esercizi dell’impresa, oltre che da un numero di dipendenti pari ad almeno duecentocinquanta unità per la singola impresa e ottocento per le imprese appartenenti al medesimo gruppo.
Dall’analisi dell’iter procedurale di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, emerge una struttura molto simile allo schema bifasico già previsto dalla legge Prodi-bis, tenuto conto delle deroghe previste per le società quotate, le imprese con almeno mille dipendenti e un volume d’affari pari a un multiplo significativo di quello individuato per le altre imprese operanti nei servizi pubblici essenziali (SIEG): in questi casi la PDL attribuisce al MISE il potere di disporre l’ammissione alla procedura, che deve essere confermata in tempi rapidi dal tribunale con la sentenza accertativa dei requisiti suindicati.
Dal momento del deposito della domanda di ammissione all’amministrazione straordinaria, presentata dal debitore, il tribunale ha infatti 10 giorni per accertare la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa.
Al termine di tale fase, dunque, il tribunale ha a disposizione ulteriori 45 giorni di tempo per l’ammissione all’amministrazione straordinaria, previo ottenimento del parere favorevole da parte del MISE, qualora risultassero comprovate le concrete prospettive di recupero dell’attività economica dell’impresa, salvo non ritenga necessario incaricare un professionista che attesti, nei successivi 30 giorni, la sussistenza degli effettivi presupposti di recupero.
Nello scenario appena sinteticamente rappresentato si arriverebbe a dedicare quindi circa 90 giorni alla sola fase di osservazione, un lasso di tempo forse troppo ampio per una procedura che dovrebbe essere improntata sulla massima celerità, ma che, di contro, consente un rilevante rafforzamento della struttura bifasica mediante una corretta valutazione delle concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico-finanziario dell’impresa.
Alla luce di quanto appena esposto, appare dunque apprezzabile lo sforzo compiuto nella PDL di circoscrivere il rimedio della procedura di amministrazione straordinaria solo negli effettivi casi di recuperabilità dell’impresa in crisi. Tuttavia, sarebbe stato auspicabile affiancare al requisito quantitativo di accesso alla procedura, un requisito di tipo qualititativo dell’impresa, che tenga conto, oltre che al livello occupazionale, anche del grado di strategicità dell’impresa, in quei settori nei quali lo Stato possa esercitare speciali poteri di intervento.