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formiche.net – “Tornare alle partecipazioni statali non è pensabile ma…”

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In presenza di un ciclo economico di crisi è importante che lo Stato torni ad occupare un ruolo propulsivo dello sviluppo industriale anche con l’obbiettivo di colmare il gap esistente tra le diverse aree del Paese e tutelare l’occupazione. Ecco come nell’analisi di Vincenzo Sanasi d’Arpe, professore di diritto dell’Economia.

Per una adeguata visione d’insieme sull’intervento dello Stato nell’economia, è fondamentale tracciare un profilo ricostruttivo del quadro precedente all’attuale anche perché, come diceva un grande studioso della materia “le cose nuove non si capiscono se non si pongono a confronto con le vecchie”.

A seguito della crisi finanziaria del 1929, cristallizzata dal crollo del mercato azionario statunitense e che portò, negli Stati Uniti, alla creazione delle prime authorities di settore onde realizzare un’attività di regolazione e vigilanza, in Italia fu costituito, nel 1933, l’Istituto per la ricostruzione industriale, dapprima come ente provvisorio, poi, nel 1937, come ente definitivo.

L’Iri venne istituito per il “salvataggio” delle imprese, sia industriali che creditizie, in crisi, onde evitare che si realizzasse una situazione simile a quella americana: chiusura delle aziende, perdita dei posti di lavoro e le stesse banche (doppiamente esposte in quanto al tempo stesso azioniste e finanziatrici delle aziende in crisi) non più in grado di restituire quanto dovuto ai risparmiatori.

Iniziano, in parte, ad affermarsi, in quel contesto, le teorie di J. M. Keynes, padre della macroeconomia, fautore dell’intervento dello Stato nel mercato, in particolare nelle fasi di crisi del ciclo economico, sull’assunto che il mercato, di per sé, non creasse un circuito virtuoso e “perfetto”. Sostenitore, pertanto, di un sistema ad economia “mista”, per un modello capitalista che avesse nello Stato un agente per la tutela dell’interesse collettivo, in contrapposizione rispetto alla teoria economica neoclassica.

Dopo l’Iri, nel 1953, venne istituito l’Eni (Ente nazionale idrocarburi,) configurato, al pari dell’Iri, come ente pubblico economico con partecipazioni in società per azioni, per la gestione, in regime di esclusiva, della ricerca e della coltivazione dei giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi scoperti, agli inizi degli anni ’50, nella Valle Padana.

Con legge del 22 dicembre del 1956, venne istituito il ministero delle Partecipazioni Statali dal quale dipendevano gli enti pubblici economici di gestione delle partecipazioni azionarie dello Stato. Con l’istituzione di questo ministero si sancì il principio che lo Stato non potesse essere azionista diretto: le azioni in proprietà diretta dello Stato vennero infatti attribuite agli enti di gestione, a loro volta sottoposti al controllo dello Stato. Il numero degli enti di gestione venne progressivamente ampliato, con la istituzione dell’Efim (ente per il finanziamento dell’industria manifatturiera) dell’Eagc (ente autonomo gestione cinema, dell’Eagat (ente autonomo gestione aziende termali) dell’Egam (ente per la gestione delle aziende minerarie).

È opportuno, a questo punto, un breve cenno sul c.d. Stato finanziatore. Il finanziamento statale rappresenta, infatti, un elemento peculiare della storia economica degli anni ’60. Negli anni ’60 e fino agli anni ’70, infatti, si sono sviluppate diverse forme di ausili finanziari pubblici ai privati, dal contributo a fondo perduto al c.d. premio, erogato, a differenza del precedente, non ex ante ma ex post, quando sia stato raggiunto l’obbiettivo o realizzato il servizio, fino al più complesso credito agevolato. A partire dal 1990, si afferma un nuovo indirizzo, sotto la fortissima pressione della finanza pubblica, della legislazione Europea, per ricondurre a dimensioni più limitate le imprese pubbliche, anche a ragione di episodi patologici e disfunzioni, talvolta gravi, di alcune tra queste, e last but not least, dell’interesse dei grandi centri di potere finanziario internazionali e nazionali. Si arriva, quindi, alle privatizzazioni. Credo abbiano relativamente inciso sul deficit di finanza pubblica. Su questi risultati è interessante leggere la relazione della Corte dei Conti del 2010.

In ogni caso ed in disparte dall’opportunità o meno, di procedere alla privatizzazione sostanziale di determinate aziende, su tutte Stet-Telecom, allora gigante delle telecomunicazioni sul piano internazionale, gioiello dell’Iri ed azienda strategica per le prospettive di sviluppo legate all’evoluzione tecnologica nel mondo delle telecomunicazioni, ciò che è stato aspramente dibattuto, discusso e discutibile è il modello di dismissione (liquidazione) del patrimonio industriale pubblico. Superate le cessioni di rami dell’Eni, il 70% circa del capitale azionario, ventiduesima azienda nel mondo per fatturato, di Stet-Telecom e di Autostrade, è espressiva, a questo proposito, una cessione meno nota ma non meno significativa, ovverosia la privatizzazione sostanziale di Seat-Pagine Gialle. In estrema sintesi: scissa da Stet per essere conferita al ministero del Tesoro prima della privatizzazione di Telecom Italia, e dal Tesoro messa in vendita tramite procedura competitiva, nel 1997, con la consulenza dell’allora Lehman Brothers, la privatizzazione di Seat ebbe luogo nell’anno successivo con la tecnica del leveraged buy-out.

Modalità di compravendita, vietata, all’epoca, dall’art. 2358 del codice civile che proibiva di accordare prestiti o concedere finanziamenti per l’acquisto di azioni proprie. Seat-Pagine Gialle fu acquisita tramite la società-veicolo Ottobi posseduta da Otto S.p.A., i cui otto azionisti, a parte Banca Commerciale Italiana e De Agostini S.p.A., erano rappresentati da fondi chiusi e società di diritto estero domiciliate in diversi Stati i cui ordinamenti prevedevano una bassissima tassazione. L’acquisizione di Seat si realizzò sull’equivalente di 856 milioni di euro (per la gran parte, appunto, a debito) per essere successivamente ceduta a Telecom Italia per l’equivalente di 7, 4 miliardi di euro.

In disparte da taluni particolari casi che pure inevitabilmente hanno caratterizzato l’epoca delle privatizzazioni a favore di un diverso assetto del rapporto tra Stato ed economia, non è, oggi, pensabile, per diversi ordini di motivi, il ritorno ad un sistema, quello cd delle partecipazioni statali che, elogiato all’epoca dalla comunità internazionale per la sua configurazione tecnico – giuridica, ha significato lo sviluppo ed il rilancio economico- industriale ed occupazionale del Paese.

Credo, però che, specialmente in presenza di un ciclo economico di crisi sia importante che lo Stato torni ad occupare un ruolo propulsivo dello sviluppo industriale anche con l’obbiettivo (che costituiva la ratio dell’intervento diretto nell’economia, c.d. Stato imprenditore) di colmare il gap esistente tra le diverse aree del Paese e tutelare l’occupazione. Questo passa, inevitabilmente, dal dotarsi di una politica industriale e dal presidio e rafforzamento dei settori strategici dell’economia. Gli istituti giuridici e le conseguenti configurazioni sono svariati ma ritengo auspicabile, in ogni caso, per il superamento della crisi ed il successivo rilancio, una partnership tra pubblico e privato. Dipenderà poi, in definitiva, dagli uomini chiamati a gestire i processi.

Ci accingiamo a vivere un’epoca nella quale competenza, capacità e formazione saranno fondamentali ma questo, seppur strettamente correlato, è un altro tema…


Articolo pubblicato su formiche.net

Covid-19: il rischio di una carestia. Intervista a Vincenzo Federico Sanasi D’Arpe (World Food Programme – ONU)

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“Covid-19: il rischio di una carestia. Intervista a Vincenzo Federico Sanasi D’Arpe (World Food Programme – ONU)” realizzata da Lanfranco Palazzolo con Vincenzo Federico Sanasi D’Arpe (presidente del Comitato Italiano per il World Food Programme delle Nazioni Unite (WFP)).

L’intervista è stata registrata venerdì 24 aprile 2020 alle ore 09:00.

Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Africa, Agricoltura, Alimentazione, Ambiente, Anziani, Asvis, Banche, Brindisi, Caritas, Ceto Medio, Clima, Comunicazione, Conte, Cooperative, Crisi, Decreti, Difesa, Disoccupazione, Economia, Emergenza, Energia, Epidemie, Esercizi Commerciali, Europa, Fame Nel Mondo, Famiglia, Finanza, Finanziamenti, Governo, Guerra, Haiti, Immigrazione, Impresa, Investimenti, Istituzioni, Italia, Lavoro, Nepal, Occupazione, Onu, Pannella, Pil, Politica, Poverta’, Prevenzione, Produzione, Recessione, Reddito, Renzi, Salute, Sanita’, Sicurezza, Societa’, Somalia, Sudan Del Sud, Sviluppo, Tecnologia, Unione Europea, Welfare, Wfp.

Intervista su Rai 1 al Presidente del Comitato Italiano per il WFP Sanasi D’Arpe

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Il Presidente del Comitato Italiano per il World Food Programme Prof. Vincenzo Sanasi D’Arpe, è intervenuto durante la trasmissione di Rai 1 e Rai Vaticano “Viaggio nella Chiesa di Francesco”.
Il Presidente del Comitato Italiano per il World Food Programme Prof. Vincenzo Sanasi D’Arpe, è intervenuto durante la trasmissione di Rai 1 e Rai Vaticano “Viaggio nella Chiesa di Francesco”, realizzata in vista del Sinodo per l’Amazzonia tenutosi nel mese di ottobre.

Il Presidente ha affrontato il problema della stretta correlazione tra la salvaguardia dell’ambiente e la fame nel mondo, con lo sguardo rivolto agli sforzi che il World Food Programme compie in più di 80 paesi nel mondo.

Guarda qui l’intervista andata in onda sui canali Rai:

http://www.teche.rai.it/techecustomer/viaggio-nella-chiesa-francesco/fmt/iframe0

askanews.it – Alitalia, Sanasi: salvaguardare occupazione anche con golden share

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“D’accordo con Di Maio, tutela dipendenti è centrale”

Roma, 13 dic. (askanews) – “Non si può che essere d’accordo col ministro Di Maio quando afferma che nel caso della vicenda Alitalia l’occupazione ha una centralità dirimente”. E’ quanto afferma il prof. Vincenzo Sanasi D’Arpe, docente di Diritto dell’Economia ed esperto di gestione della crisi e del risanamento d’impresa già membro del tavolo tecnico istituito nel 2008 per Alitalia dal MISE.

Per Sanasi “il futuro degli occupati è prioritario nella gestione della crisi della compagnia di bandiera, per questo è importante che qualsiasi ingresso di nuovi azionisti sia accompagnato dalla garanzia del mantenimento dei posti di lavoro”. Una garanzia che – secondo il prof. Sanasi – deve essere fatta propria dal governo, “anche coinvolgendo nel salvataggio della compagnia soggetti come FS e in ipotesi anche altre aziende partecipate dallo Stato, e, se del caso, prevedendo l’introduzione della golden share in mano pubblica perché Alitalia con i suoi occupati costituiscono un asset strategico per il Paese”.


Articolo pubblicato su askanews.it

“Ecco che cosa sta per cambiare nel mondo delle imprese”

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Si tratta di una previsione normativa caratterizzata da luci ed ombre: da un lato scompare la parola “fallimento” – con l’intento di eliminare lo stigma che accompagna il termine – dall’altro si introduce un controllo per le imprese ai limiti dell’invasivo, con un apparente ritorno agli anni antecedenti alla riforma delle società del 2003.
Un tale interesse per i profili economico-finanziari ha la finalità di garantire la sostenibilità finanziaria dell’impresa nel medio–lungo periodo, obiettivo che si intende raggiungere attraverso i cosiddetti “indicatori della crisi”, strumenti in grado di evidenziare situazioni “di pericolo” per la stabilità aziendale. L’art. 13 della bozza del nuovo Codice traccia alcune linee guida per la fissazione di criteri di carattere economico-contabile che saranno in grado di portare alla luce situazioni di difficoltà dell’impresa e prevenirne la crisi. Anche la nuova formulazione dell’art. 2086 c.c., rubricato ora “Gestione dell’impresa”, mira a irrobustire il sistema dei controlli voluto dal Legislatore.

Le previsioni normative sono però piuttosto generiche e lasciano spazio a numerosi dubbi: quali assetti organizzativi potranno essere utili a rilevare segnali di crisi? Come cambieranno questi rispetto alle dimensioni delle imprese coinvolte? Pur nella indeterminatezza delle indicazioni fornite dal legislatore, è possibile iniziare a tracciare alcune prime considerazioni. Un ruolo centrale è ricoperto certamente dai sistemi di controllo interni, e per questo motivo gli imprenditori dovranno potenziare quelli già esistenti, o crearne dei nuovi.

Gli organi di controllo interni classici, sindaci e revisori contabili, dovranno esaminare l’ammontare dei flussi di cassa, dato che permetterà di monitorare la sostenibilità finanziaria nel medio-lungo periodo, evidenziando fattori che possano compromettere la continuità aziendale. Accanto ad un costante monitoraggio dei flussi di cassa è indicativo dello stato di salute aziendale anche il puntuale pagamento dei debiti: un’impresa che non riesce a far fronte alle proprie passività (retributive, fiscali, previdenziali, ecc.) non potrà certamente garantire la continuità aziendale. Ruolo centrale sarà quello dei revisori e degli organi di controllo, che dovranno illustrare agli organi amministrativi l’effettiva situazione economica dell’impresa.

La tempestività è cruciale, poiché nel caso in cui non arrivino puntuali e adeguate risposte dall’amministrazione, spetterà ai revisori e agli organi di controllo informare l’organismo di composizione della crisi. Ciò che in generale emerge è, dunque, la necessità di un sistema organizzativo in grado di trasmettere informazioni rilevanti dai livelli più bassi a quelli più alti del “sistema impresa”. Non solo quindi un naturale incremento delle responsabilità in capo agli amministratori e al collegio sindacale, ma una stretta collaborazione tra i controlli “di primo livello” e quelli apicali, ai quali giungeranno informazioni frutto di lavorazioni precedenti. La gestione di questi flussi può essere una risposta doppiamente utile: sia rispetto ad un necessario adeguamento alla nuova disciplina della crisi, sia rispetto alle nuove esigenze dei mercati e della concorrenza.

Per imprese di piccole dimensioni questa “riconversione” può evidentemente comportare dei costi significativi (basti pensare a quelle che ancora non hanno un management interno e devono costituirlo da zero). Si può coglierne però immediatamente il vantaggio: se la classe imprenditoriale dotasse la propria azienda di aggiornati assetti organizzativi per la tempestiva rilevazione di crisi, il sistema economico intero ne trarrebbe benefici, evitando o comunque arginando le pesanti ricadute sul tessuto sociale.

 

Di Vincenzo Sanasi D’Arpe

 

Leggi il documento completo:
https://formiche.net/2018/12/sanasi/

spraynews.it – «Il governo abbia una politica industriale per le aziende strategiche», l’invito di Sanasi D’Arpe

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Uno stimolo per il governo del cambiamento, un invito a tutelare i presidi strategici dell’Italia e a mettere in atto politiche industriali di ampio respiro per il rilancio del Paese, che rischia di vedere fortemente sminuito il patrimonio industriale costruito in anni, dalle telecomunicazioni alla siderurgia, dalla chimica all’alta tecnologia al petrolio e al gas metano che hanno consentito all’Italia di essere tra le prime cinque potenze industriali del mondo. E poi le privatizzazioni che hanno finito per trasferire o sminuire gravemente settori in cui eravamo grandi a livello internazionale, una smobilitazione in cambio di immediati guadagni con una forte diminuzione in termini di ricchezza pubblica, tutela e sviluppo dell’occupazione. Di questo e altro abbiamo parlato con Vincenzo Sanasi D’Arpe, docente di diritto dell’economia, studioso e sostenitore “da sempre” dell’intervento dello stato nel sistema produttivo, tra i massimi esperti italiani nella gestione della crisi e nel risanamento di impresa. Ha tra l’altro realizzato il risanamento di un grande gruppo industriale multinazionale in crisi con il salvataggio di migliaia di posti di lavoro, a condizioni eccezionali e che ebbe all’epoca sia il plauso di Fiat, principale committente della società, che dalle parti sindacali. La sua monografia “L’amministrazione straordinaria dei grandi gruppi in crisi: lineamenti giuridici” è stato un riferimento in materia il cui percorso argomentativo è stato ripreso dai giudici della Corte costituzionale per la sentenza sulle azioni revocatorie intentate da Parmalat in amministrazione straordinaria.

Professor Sanasi D’Arpe, ci spieghi il perché del suo appello sullo stato di alcuni settori industriali strategici del Paese

«Vorrei partire da una vicenda che ritengo uno spunto ideale per riassumere quanto intendo esprimere. Come è noto Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, ha trattato l’acquisizione dei cantieri navali della coreana Stx. Una volta eletto Emmanuel Macron, ha bloccato l’operazione e rivisto gli accordi con l’azienda pubblica italiana, dando giustamente un’impronta di politica industriale del suo Paese. La nuova intesa prevede che circa il 34% della società faccia capo al governo francese, il 50% a Fincantieri e la restante componente alla società francese nel settore dei cantieri navali Naval Group, che ha al suo interno tra gli azionisti anche il colosso della tecnologia Thales, rivale nel settore di Finmeccanica. Per consentire a Fincantieri di detenere il 51% e quindi il controllo formale della società, il governo francese ha poi ceduto in prestito, sottolineo in prestito, a Fincantieri un 1% per una durata di 12 anni»

Da questo spunto di riflessione cosa si può estrapolare?

«A mio avviso da questa vicenda emergono almeno tre riflessioni importanti che il governo del cambiamento dovrebbe tenere in forte considerazione. È importante che l’esecutivo vigili sui settori industriali strategici ed abbia di conseguenza una politica industriale che coniughi la creazione di valore per l’impresa con la tutela e auspicabilmente la crescita dell’occupazione. Sarebbe auspicabile nell’esempio specifico un’alleanza tra Fincantieri e Finmeccanica, punta di diamante nella difesa e nel settore dell’alta tecnologia»

Secondo lei quindi l’Italia pecca nel valorizzare e difendere i suoi settori strategici?

«Qualche anno fa i francesi affermavano che l’Italia avesse una basso indice di penetrabilità bancaria, eppure poco dopo gli abbiamo permesso di comprare la Banca Nazionale del Lavoro, uno degli istituti bancari principali del Paese. Non credo, come dimostrato anche dal caso di una grande impresa italiana, che si possa parlare esattamente di criteri di reciprocità»

Parlando di privatizzazioni, secondo lei hanno portato benefici o meno nel lungo periodo?

«Sarebbe molto importante un’attenta riflessione sul fenomeno delle privatizzazioni. Sono di tutta evidenza i casi più rilevanti degli ultimi anni, ad esempio la vicenda Telecom, che era un gigante delle telecomunicazioni, specie se si fa un confronto con ciò che era all’epoca Vodafone, e che difficilmente, se non mai più, tornerà ad essere l’azienda che è stata. Vi è poi il caso di Autostrade: definita “la gallina dalle uova d’oro” del gruppo Iri. La costituzione di questa società da parte dello Stato con il gruppo Italstat costituì un grande sforzo e richiese all’epoca grandi investimenti e lo Stato dovette fare grandi concessioni per convincere i grandi gruppi privati del Paese a partecipare all’investimento. La loro privatizzazione non può definirsi esattamente un’operazione di lungo respiro per fare, come si suol dire, cassa»

Lei teme dunque una sorte non esaltante anche per Finmeccanica?

«Ritengo che sia in una fase non tra le più facili della sua storia gloriosa e dovrebbe invece essere assolutamente valorizzata per ciò che ha rappresentato, rappresenta e ancora può rappresentare a livello internazionale nell’ambito dell’alta tecnologia e della difesa. Finmeccanica è sempre stata una delle nostre aziende di maggior prestigio ma oggi se si guarda al dato dei ricavi, ha numeri inferiori rispetto al 2010, un dato negativo che deve essere motivo di attenzione. Anche l’ambito di punta dell’azienda, quello dell’elicotteristica, risente sul piano degli investimenti. Ripeto che l’unione tra Finmeccanica e Fincantieri consentirebbe la nascita di un grande polo della Difesa a livello internazionale»

Come si può ovviare ad errori simili in ottica futura?

«Emerge la necessità di una costante attenzione da parte del governo sui settori strategici ed una presenza vigile e organizzata nel settore pubblico dell’economia. Solo con una presenza organizzata e una costante attenzione da parte del governo nei settori strategici, anche laddove richiedessero degli investimenti, si può rilanciare il nostro sistema produttivo, che tanto ha contribuito in termini di sviluppo industriale. Il sistema delle partecipazioni statali che attraverso i cd enti di gestione entrava nel sistema produttivo non pubblicizzando ma al contrario privatizzando (da un punto di vista giuridico) le società possedute, costituiva un assetto giuridico organizzativo ammirato a livello internazionale. Il sistema delle partecipazioni statali dette poi adito a disfunzioni e patologie e certamente doveva essere razionalizzato, ciò però non significa a mio avviso che lo Stato non debba conservare una presenza organizzata e significativa nel sistema economico come stimolo per la crescita anche dell’impresa privata e per l’occupazione, specie con riferimento alle aree più deboli del Paese»

Cosa si augura dunque per il futuro del settore industriale italiano?

«Ripeto che da parte del governo ci sia quella regia e quell’attenzione nella tutela dei settori strategici e delle grandi aziende italiane che tanto hanno significato nel passato. Le nostre grandi eccellenze sono naturalmente parte significativa del tessuto economico del Paese e anche da esse dipendono la capacità di produrre ricchezza e tutelare i livelli occupazionali. Occorre in definitiva una nuova visione e una nuova politica industriale per rilanciare le nostre grandi aziende pubbliche a livello internazionale»

Esiste un esempio di azienda e di figura che sintetizzi il suo pensiero?

«L’Ente nazionale idrocarburi e il suo fondatore Enrico Mattei, uomo con una grande visione della funzione economica e sociale dell’impresa, che nel 1953, con il supporto del governo De Gasperi, in realtà faticosamente ottenuto, da commissario liquidatore dell’Agip creò in condizioni particolarmente avventurose l’Eni. Definito il “petroliere senza petrolio” ha poi dato origine a quella che è oggi la ventiduesima azienda nel mondo per fatturato che ha costituito grande fonte di ricchezza e occupazione per il nostro Paese. A proposito delle condizioni avventurose nelle quali fu creata questa azienda le offro un aneddoto noto a pochi: quando Enrico Mattei, dopo aver faticosamente convinto il capo del governo Alcide De Gasperi a costituire l’ente nazionale idrocarburi anziché liquidare l’Agip, si recò dal “banchiere letterato” Raffaele Mattioli, capo e rifondatore della Banca Commerciale Italiana, fondatore di Mediobanca e padre politico di Enrico Cuccia, chiese un prestito di cento milioni per costituire l’Eni. Mattioli espresse il suo entusiasmo sia con riferimento al progetto che alla figura che lo esprimeva, ma disse di essere pur sempre un banchiere e di avere quindi bisogno di garanzie. Mattei, già deputato, commissario liquidatore dell’Agip e agiato industriale nel campo delle cererie e dei grassi dette in garanzia i suoi beni personali.»

di Alessandro Leproux


Articolo pubblicato su www.spraynews.it

Privatizzazioni, Sanasi D’Arpe: “Stato importante nei settori strategici”

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Sanasi D’Arpe: “Importante la presenza dello Stato nei settori strategici. Auspico riflessione sulle privatizzazioni”

Privatizzazioni, Sanasi D’Arpe: "Stato importante nei settori strategici"

“La presenza dello Stato nell’economia italiana ha avuto, in passato, un ruolo estremante significativo con un assetto giuridico-organizzativo apprezzato a livello internazionale e che ha portato l’Italia ai primi posti tra i Paesi più industrializzati del mondo.” Lo ha dichiarato il Professor Vincenzo Sanasi D’Arpe, tra i massimi esperti italiani di gestione delle crisi e del risanamento d’impresa. Sanasi D’Arpe, che è anche Presidente del World Food Programme Italia, auspica, tuttavia, una profonda riflessione sulla vicenda delle privatizzazioni attuate in Italia, anche perché “il sistema delle partecipazioni statali ha da un lato sottratto il Paese ad una profonda crisi con la creazione dell’IRI nel 1933, dall’altro lato ha determinato il rilancio e lo sviluppo di importanti settori industriali sia in ambito pubblico che privato. Anche in ragione di queste considerazioni è opportuno che lo Stato mantenga il controllo nei settori strategici e di pubblica utilità.”

 

Leggi il documento completo:
https://www.affaritaliani.it/economia/privatizzazioni-vincenzo-sanasi-d-arpe-importante-la-presenza-dello-stato-543223.html

Vincenzo Sanasi D’Arpe – VI Convention Nazionale Auxilia Finance (1-2 febbraio 2018)

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Vincenzo Sanasi D’Arpe Presidente World Food Programme

Italia Auxilia Finance S.p.A. offre consulenza creditizia e assicurativa alle famiglie, ai professionisti e alle PMI. Le rosa di soluzioni proposte da Auxilia Finance copre tutte le necessità dei suoi clienti: mutui bancari, prodotti assicurativi, prestiti personali, credito al consumo e cessioni del quinto. Auxilia Finance S.p.A. è la società di mediazione creditizia più innovativa, con rapporti consolidati con le più importanti realtà istituzionali e bancarie. E “Il futuro inizia oggi” è proprio il titolo della della VI Convention di Auxilia Finance S.p.A., che si è svolta nella magnifica cornice di Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Italiana, in Piazza degli Affari a Milano, Giovedì 1 e Venerdì 2 Febbraio 2018.

Giocando a basket contro la fame (Unomattina del 5 gennaio)

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Giocare a basket per sconfiggere #fame e #spreco #alimentare e sensibilizzare i più piccoli con il torneo di Minibasket #BambiniPeriBambini dedicato al Programma dei #PastiAScuola del #WFP.
Tutto questo grazie alla partnership con Eurobasket Roma. Se ne parla a Unomattina su Rai1. Intervistato per il WFP Italia il Presidente Vincenzo Sanasi d’Arpe.